Ancora sull’assegno divorzile: l’ennesimo pronunciamento della Cassazione a Sezioni Unite del 18.12.2023 n. 35253 riguardo ad un istituto in (perenne) divenire
COMMENTO DELL’AVV. ANGELA NATATI
Con una recentissima pronunzia resa a Sezioni Unite, il supremo organo di nomofilachia è tornato a pronunciarsi sull’istituto dell’assegno divorzile di cui all’art. 5.6 Lg. 898/1970, come modificato dalla
Lg. 436/1978.
1- Il fatto
La pronuncia in commento trae origine da una riforma della Corte di Appello di Bologna di una sentenza di primo grado relativa al divorzio di due ex coniugi. In particolare, a fronte della statuizione di primo grado veniva attribuito alla ex moglie un assegno divorzile di euro 1.600,00 mensili, nonché l’assegnazione alla stessa della casa familiare. Il di lei ex coniuge veniva inoltre obbligato al versamento di euro 700,00 mensili, nonché della totalità delle spese straordinarie, in ragione della necessità di provvedere al mantenimento del figlio nato dalla disciolta unione. A fronte di tale statuizione proponeva ricorso in appello l’ex marito, vedendosi successivamente parzialmente riformare dai giudici di Appello la sentenza di primo grado: in particolare i giudici di secondo grado, pur riconoscendo la sussistenza dei presupposti per la spettanza dell’assegno divorzile alla ex moglie, ne riducevano l’importo ad euro 400,00 mensili. Anche le spese per il mantenimento del figlio venivano ridotte da 700,00 a 400,00 euro mensili, fermo restando l’obbligo per il genitore di provvedere alle spese straordinarie. I giudici di secondo grado, infatti, contestavano la stima del reddito dell’ex marito come determinata dal Tribunale. Per contro, la Corte territoriale rilevava come la moglie non avesse cessato le proprie attività lavorative a causa della sua prevalente dedizione alle esigenze coniugali della famiglia, ma per una scelta personale e libera, resa possibile dalle proprie agiate condizioni economiche. A supporto di ciò la Corte territoriale rileva come la ex moglie, ben prima del matrimonio (contratto nel 2003, a fronte di una convivenza cominciata dal 1996) cessava la propria attività lavorativa, e che fosse stato invece l’ex marito a mutare il proprio precedente impiego, il quale comportava numerosi spostamenti. Ne inferiscono i giudici dell’Appello che la ex moglie non potesse avere cessato la propria attività lavorativa con il prevalente scopo di occuparsi dell’ex coniuge o comunque a causa della necessità di apportare un contributo al costituito nucleo famigliare. Avverso la sentenza di Appello veniva proposto ricorso per Cassazione da parte della ex moglie, lamentando che, ai fini della quantificazione del quantum dell’assegno divorzile a lei riconosciuto, la Corte territoriale non avesse preso in considerazione i precedenti anni di convivenza more uxorio intercorsi tra gli ex coniugi. La questione veniva ritenuta di massima particolare importanza a norma dell’art. 374.2 c.p.c. e, in conseguenza, rimessa al Primo Presidente, che ne disponeva con decreto la trattazione in pubblica udienza.
2 Il principio di diritto pronunziato dalle Sezioni Unite
Le Sezioni Unite hanno in primo luogo quali siano i presupposti e, soprattutto, i criteri di quantificazione dell’assegno divorzile di cui all’art. 5.6 Lg. 898/1970 per come modificato dalla Lg. 74/1987. Questi ultimi vengono precisamente e puntualmente individuati dal Legislatore in:
- condizione dei coniugi;
- ragioni della decisione;
- contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi.
In particolare, ai fini del calcolo del quantum dell’assegno di cui all’art. 5.6 Lg. 898/1970 le Sezioni Unite, mutando il proprio precedente orientamento, attribuiscono rilevanza al periodo di convivenza (che sia caratterizzata dai caratteri della stabilità e permanenza propri della relazione more uxorio) eventualmente intercorso tra i due ex coniugi. Per i Supremi giudici, infatti, anche a seguito dell’espresso riconoscimento da parte del Legislatore per mezzo della Lg. 76/2016, deve essere ribadita la pluralità dei modelli familiari normativamente previsti, con la conseguenza che anche dalla convivenza more uxorio scaturiscono obblighi di solidarietà morale e materiale, dei quali non può non tenersi conto ai fini della quantificazione del contributo personale ed economico degli ex coniugi all’unione. Convivenza e matrimonio sarebbero entrambi modelli familiari differenti si, ma paritetici ai fini della determinazione dell’apporto di entrambi all’unione. Non è sostenibile una diversità di contenuto e di valore del contributo che il coniuge presta rispetto al matrimonio rispetto a quanto il convivente presta in riferimento all’unione. In particolare, le Sezioni Unite sostengono che ai fini dell’inadeguatezza dei mezzi economici a disposizione del richiedente deve avere luogo mediante la complessiva ponderazione dell’intera storia familiare; ciò in ragione della funzione non soltanto assistenziale, ma compensativa e perequativa dell’istituto dell’assegno divorzile in commento, funzioni discendenti direttamente dall’art. 2 Cost.
La statuizione del supremo consesso nomofilattico non impone però al giudice di anticipare alla convivenza la verificazione dei fatti costitutivi dell’assegno divorzile ma, accentuando il carattere compensativo e solidaristico dell’istituto, allarga il periodo di tempo su cui misurare il contributo personale ed economico apportato da ciascun coniuge all’unione, ricomprendendovi anche il periodo di convivenza, perlomeno laddove la stessa sia stata caratterizzata da quei caratteri di stabilità e di serietà che vengono fatti propri anche dal legislatore all’art.1 comma 36 e ss. Lg. 76/2016.
La Corte inoltre sottolinea la sempre più accresciuta pervasività della convivenza prematrimoniale nella evoluzione del costume sociale. Specie in materia di diritto di famiglia, il giudice sarebbe costretto a farsi carico della evoluzione storico-sociale involgente i relativi istituti, apportando agli stessi i necessari correttivi interpretativi e adeguamenti pratici.
Per queste ragioni, le Sezioni Unite enunciano il seguente principio di diritto:
Ai fini del riconoscimento dell’assegno divorzile “l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi economici a disposizione del richiedente, prescritto ai fini della prima operazione, deve aver luogo mediante complessiva ponderazione dell’intera storia familiare, in relazione al contesto specifico, e una valutazione comparativa delle condizioni economico patrimoniali delle parti, che tenga conto anche del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all'età dello avente diritto, tutto ciò in conformità della funzione non solo assistenziale, ma anche compensativa e perequativa dell'assegno divorzile, discendente direttamente dal principio costituzionale di solidarietà”.